giovedì 14 maggio 2009

Repubblica e le dieci domande a Berlusconi





In attesa delle risposte che non verranno, pubblichiamo il video- inchiesta di Repubblica perchè ognuno possa farsi un'idea di quel che è successo e sta succedendo.

Non si tratta di "ravanare" nelle faccende private di Silvio Berlusconi, ma di chiedere a gran voce che il Presidente del Consiglio dia pubbliche spiegazioni ad una serie di incongruenze tra le sue dichiarazioni e quel che invece emerge ricostruendo fatti e rileggendo le testimonianze degli altri protagonisti di questa vicenda.

In un Paese normale queste risposte sarebbero pretese da tutta l'opinione pubblica.

E, certamente, in un Paese normale sarebbe normale che il Parlamento reclamasse la verità., perchè in un paese normale chi è chiamato alla guida del governo non può e non deve mentire.

Ma l'Italia non è più un Paese normale.

Nel nostro Paese, ormai, nemmeno una sentenza della magistratura che, nella sua motivazione, spiega a chiare lettere che l'avvocato David Mills è stato condannato per falsa testimonianza avendo mentito sotto giuramento"per consentire a Berlusconi e alla Fininvest l'impunità dalle accuse, o almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati", riuscirà a suscitare quella giusta indignazione che dovrebbe costringere qualunque politico a rassegnare le dimissioni...

Non è quindi solo l'arroganza del potere.

C'è nella maggioranza dell'opinione pubblica un tolleranza nei confronti del capo, che non si spiega se non con il riconoscimento di un sentimento collettivo di resa dei conti nei confronti dell'altra metà del paese...

E per far questo ogni strumento è lecito: i medici spia, i presidi poliziotti, le ronde di gruppi privati per le strade...

Il sonno della ragione, si sa genera mostri.

Noi, che la nostra ragione teniamo ben sveglia, non possiamo far altro che provare a scuotere chi sembra voler solo dormire.

sabato 18 aprile 2009

C'era una volta la vecchia Budapest. Analisi e racconti dalla Budapest del 2009


















Il 2008 e il 2009 resteranno nella storia come gli anni della crisi economica mondiale ed è giusto che sia così. Per costruire un buon futuro sulla Terra, infatti, dobbiamo sapere come sono fatte le sue fondamenta e quali pericoli possono mettere a rischio la tenuta del palazzo. Mi avvio a raccontarvi come si vive la crisi in un paese dell'ex-blocco sovietico, l'Ungheria, nella cui capitale Budapest sto vivendo da alcuni mesi come studentessa di giornalismo e lavoratrice. Budapest a primavera è una meraviglia e non solo grazie al Danubio e all'architettura dei suoi palazzi, ma anche per la vivacità dei turisti e degli studenti che la affollano. Considerarla una città in declino, come traspare da alcuni articoli recenti e dai commenti televisivi, vuol dire distorcere la realtà. La crisi c'è e ci sarà, come in Europa e negli Stati Uniti, ma questo non significa che l'Ungheria stia ferma a guardare.
Ho parlato con persone che lavorano in Ungheria da anni, per sapere come e se sono cambiate le prospettive nei loro settori.
Immobiliare
Stefano Accornero, Responsabile Tecnocasa per l'Ungheria, spiega che il mercato immobiliare nella capitale ungherese non rischia il crollo. "All'inizio di marzo si è tenuta a Budapest la fiera immobiliare. Il nostro stand ha lavorato senza tregua per tutta la durata della manifestazione, sempre affollato dal pubblico della fiera. Alla fine dell'evento abbiamo registrato 300 domande per appartamenti a Budapest."
Accornero spiega che l'offerta è salita, ma che allo stesso tempo non è stato registrato un calo del numero di compravendite rispetto allo scorso anno. Gli ungheresi preferiscono investire nel mattone, in un momento in cui la valuta è volatile, quindi le vendite non sono diminuite. Ad essere in calo sono i compratori che ricorrono ad un mutuo. Del tutto comprensibile dopo che il ricorso massiccio da parte degli ungheresi ai mutui in valuta estera, franco svizzero o euro, li ha lasciati con enormi difficoltà nel rimborsarne le rate, a causa del crollo del fiorino nell'ottobre 2008. Un ungherese che riceve lo stipendio in fiorini si trova a dover pagare delle rate più alte adesso che il fiorino oscilla intorno ai 300 contro un euro. "L'Ungheria - spiega ancora Accornero - è un paese che non ha saputo gestire bene l'uscita dal regime. Sono tante le famiglie che hanno fatto ricorso a finanziamenti per comprare un auto o un televisore, beni non necessari di cui si può fare a meno quando si devono pagare le rate di un mutuo o comunque si fa fatica ad arrivare a fine mese."
Una corretta gestione delle spese e un ridimensionamento dei consumi possono aiutare non poco l'Ungheria ad uscire dalla crisi. Un passo necessario in questa direzione sono le riforme da parte del governo, un esecutivo appena formato dopo le dimissioni del contestato Primo Ministro Ferenc Gyurcsany. Il nuovo Primo Ministro è il quarantunenne Gordon Bajnai che, Ministro dell'Economia e dello Sviluppo sotto Gyurcsany, ha già annunciato tagli alla spesa pubblica e interventi sulle tasse per far ripartire l'economia del paese.
Alberghi, eventi ed opportunità
Budapest resta la capitale più economica per gli appartamenti, ma non solo. Trivago, il centro servizi online europeo per i viaggiatori, pubblica le quotazioni del mercato alberghiero per le 50 destinazioni europee più frequentate. Budapest, con una spesa media di 83 euro a notte, è la città europea più conveniente in questo momento, non solo per il turismo, ma anche per organizzare convegni, congressi, eventi aziendali e fiere. Lo conferma il titolare di Eventonetwork, Luigino Bottega, imprenditore italiano che ha scelto Budapest come quartiere generale del franchising del network di aziende organizzatrici di eventi in Europa. Parlando della crisi, commenta: "La crisi apre nuove opportunità e chi sa coglierle può trarne i benefici già da ora, riposizionarsi in modo più competitivo per il futuro. La crisi in realtà - continua il titolare di Eventonetwork - è una fase di mutamento dove idee innovative nei diversi settori possono emergere, mentre chi è ancorato a modelli passati ne soffre maggiormente."
Passi necessari
Occorre cambiare rotta, ma questo non significa che in Ungheria non ci sia più vita economica. All'inizio di aprile, ad esempio, ha avuto luogo Construma, la fiera del settore Costruzione, Edilizia e Ceramica, che quest'anno ha registrato un notevole aumento dei suoi visitatori.
Stefano Destro, Direttore dell'azienda di consulenza Hydea Consulting, è in Ungheria dal 1998 e fa notare che se è vero che il debito pubblico dell'Ungheria è al 65% del PIL, quello dell'Italia è superiore al 100% del Prodotto Interno Lordo. "Dati e fatti devono essere contestualizzati. - osserva Destro - Le case in vendita a Budapest le ho sempre viste in questi anni, non sono un indicatore della crisi economica. Stesso discorso per il razzismo." Le riforme sono ormai urgenti per l'Ungheria e devono includere tagli che, a ben guardare, non comporteranno sacrifici ma normalizzazioni. Allo stato attuale gli sprechi sono troppi, a cominciare dalla maternità pagata per tre anni. In teoria, una lavoratrice che mette al mondo tre figli può stare a casa per anni, usufruendo per ogni figlio di un periodo di maternità molto lungo. “Circa il 50% delle madri ungheresi effettua questa scelta.” A raccontarlo è Andrea Varga. Andrea è ungherese ed esperta nel settore delle risorse umane, oltre che madre di una bimba di 11 anni. I dipendenti pubblici, ci spiega Andrea, godono di una lunga serie di benefit che integrano il loro stipendio. Di questi molti non sono tassabili, come ad esempio i voucher turistici che consentono di viaggiare all'interno del paese. Introdurre nuove tasse, ridurre benefit e congedi per malattia, non è facile, sono misure impopolari per il Governo, ma in questo momento è necessario affrontare la crisi anziché fingere che non ci sia o nascondersi dietro al pessimismo tipico degli ungheresi. Si possono prevedere proteste e scioperi, ma le misure devono essere intraprese e occorre anche educare gli ungheresi al risparmio. "Molte famiglie non hanno i soldi per arrivare a fine mese ma decidono comunque di comprare una bella automobile, tanto possono pagarla a rate." spiega Andrea Varga, aggiungendo che non è insolito sentir parlare di auto da pagare in 10 anni. C'è anche l'uso di comprare le vacanze a rate, così può succedere che una famiglia abbia 4 o 5 debiti contemporaneamente, magari da aggiungere al mutuo sulla casa. Questo desiderio di lusso e di svaghi è un retaggio del Comunismo. Il paese ha sofferto per decenni la mancanza di libera scelta e adesso che in Ungheria sono disponibili tutti i beni del mondo occidentale gli ungheresi ne sono attratti. Lo shopping di lusso secondo molti ungheresi può mascherare una dignitosa povertà.
Sanità e lavoro
Gli stipendi dei medici in Ungheria sono molto bassi e il solo modo per mantenersi è quello di farsi allungare delle mazzette dai pazienti. Questo succede per le visite ordinarie, ma anche per parti ed operazioni di ogni tipo.
Andrea Varga racconta che il metodo delle bustarelle è una prassi in Ungheria. Di certo non usanza che fa onore, ma nemmeno un indicatore della crisi. Alla fine di una visita è normale allungare una manciata di banconote al medico, il quale intasca, di solito intonando una protesta tanto debole quanto di circostanza.
Aziende e piani di sviluppo
C'è ancora vita a Budapest, dove licenziamenti e chiusure sono affiancati anche a investimenti ed aperture. Molte aziende cercando di evitare tagli al personale riducendo la settimana lavorativa in attesa che il periodo di maggior impatto della crisi sia passato. Bisogna aggiungere, per dover di cronaca, che ci sono anche aperture e accordi per nuovi investimenti. L'italiana Coin sta per aprire proprio a Budapest che, come ha spiegato l'Amministratore Delegato di Gruppo Coin Stefano Belardo nell'intervista per “il Ponte”, rappresenta una sfida ed un'opportunità. La fabbrica tedesca Guntner ha inaugurato proprio giovedì scorso un nuovo impianto che darà lavoro a 170 persone. La notizia è stata data dall'Agenzia ungherese per la promozione e lo sviluppo degli investimenti ITD Hungary, che informa anche dell'apertura del nuovo centro servizi della svedese Scania e dell'espansione della Infineon. Ne parlo con Andrea Agus che, in Ungheria da 9 anni, lavora in un centro servizi Convergys a Budapest: "Il nostro centro è una realtà sana, che non ha subito licenziamenti a causa della crisi, ma anzi è pronto ad assumere." A proposito di nuove assunzioni, Agus ricorda l'espansione dell'impianto di IBM a Székesfehérvár, che porterà almeno 290 posti di lavoro e dovrebbe essere seguita da una serie di nuovi progetti che potrebbero impiegare circa 3.000 persone. Oltre a IBM anche Tondach, l'azienda di piastrelle in ceramica e tegole per tetti, si è ampliata fino a creare in Ungheria il suo più grande impianto in Europa.
Oltre alle aziende anche i piani di sviluppo per il paese, sostenuti dall'Unione europea, vanno avanti, e non solo nella capitale. Il Piano di Sviluppo Nuova Ungheria sta infatti procedendo. Lo dimostra la decisione di modernizzare il Parco Industriale a 2 km dalla città di Pécs, dove sono già attive 20 aziende. Una sovvenzione da 126 milioni di fiorini trasformerà il parco in uno dei centri di sviluppo della zona di reindustrializzazione. Un altro segnale del fatto che l'Ungheria si sta attivando per gestire la crisi è dato dalla decisione del Governo di rimandare 13 dei 335 progetti prioritari ungheresi, quelli più difficili da realizzare, per destinare buona parte dei fondi disponibili alle imprese in difficoltà a causa della crisi economica. Si tratta di piani importanti ma non urgenti, come il restauro del castello reale di Buda, l'edificazione del quartiere governativo e la ristrutturazione di Moskva Tér.

All'interno della crisi occorre saper rintracciare l'opportunità, capire dove e come investire. Vedere tutto nero in momento come questo non può che ostacolare il ritorno dei colori. Staremo a vedere come andrà avanti il paese, cercando di aiutarlo a superare la crisi senza dimenticare le sue ricchezze e le possibilità di sviluppo che l'Italia ha sempre visto in questa terra.
II Primo Ministro Ferenc Gyurcsany si è dimesso, anche se di poco la situazione sta cambiando. Il paese soffre, ma non in silenzio.

giovedì 8 gennaio 2009

Dall'inferno di Gaza : La Nakba del 2009



da : http://guerrillaradio.iobloggo.com/
di VITTORIO ARRIGONI



Sfilano timorosi con gli occhi rivolti in alto, arresi ad un cielo che piove su di loro terrore e morte, timorosi della terra che continua a tremare sotto ogni passo, che crea crateri dove prima c'erano le case, le scuole, le università, i mercati, gli ospedali, seppellendo per sempre le loro vite.
Ho visto carovane di palestinesi disperati sfollare da Jabilia, Beit Hanoun e da tutti i campi profughi di Gaza, ed andare ad affollare le scuole delle Nazioni Unite come terremotati, come vittime di uno tsunami che giorno per giorno sta inghiottendo la Striscia di Gaza e la sua popolazione civile, senza pietà, senza alcuna minima osservanza dei diritti umani e delle convenzioni di Ginevra. Soprattutto senza che nessun governo occidentale muova un solo dito per fermare questi massacri, per inviare qui personale medico, per arrestare il genocidio di cui si sta macchiando Israele in queste ore.
Continuano gli attacchi indiscriminati a ospedali e a personale medico. Ieri dopo aver lasciato l'ospedale di Al Auda di Jabilia ho ricevuto una telefonata da Alberto, compagno spagnolo dell'ISM, una bomba è caduta sull'ospedale. Abu Mohammed, infermiere, è rimasto seriamente ferito al capo. Giusto poco prima, con Abu Mohammed, comunista, davanti ad un caffè ascoltavo le eroiche gesta dei leaders del Fonte Popolare, i suoi miti: George Habbash, Abu Ali Mustafa, Ahmad Al Sadat. Gli si erano illuminati gli occhi al sapere che le prime nozioni di cosa fosse la Palestina e della sua immensa tragedia mi erano stati impartiti dai miei genitori, comunisti convinti. Da mia madre "raissa", sindaco di un paese nel nord Italia. Mi aveva chiesto quali erano i leader di sinistra italiani veramente rivoluzionari, del passato, e gli avevo risposto Antonio Gramsci, e quelli di oggi, mi ero preso tempo, gli avrei risposto oggi. Abu Mohammed giace ora in coma, nello stesso ospedale dove lavorava, si è risparmiato la mia deludente risposta. Verso mezzanotte ho ricevuto un'altra chiamata, questa volta da Eva, l'edificio in cui si trovava era sotto attacco. Conosco bene anche quel palazzo, al centro di Gaza city, ci ho passato una notte con alcuni amici fotoreporters palestinesi,è la sede dei principali media che stanno cercando di raccontare con immagini e parole la catastrofe innaturale che ci ha colpito da dieci giorni. Reuters, Fox news, Russia today, e decine di altre agenzie locali e non, sotto il fuoco di sette razzi partiti da un elicottero israeliano. Sono riusciti a evacuare tutti in tempo prima di rimanere seriamente feriti, i cameramen, i fotografi, i reporters, tutti palestinesi dal momento in cui Israele non permette a giornalisti internazionali di mettere piede a Gaza. Non ci sono obbiettivi "strategici" attorno a quel palazzo, ne resistenza che combatte l'avanzata dei mortiferi blindati israeliani, ben più a nord. Chiaramente qualcuno a Tel Aviv non riesce a digerire le immagine dei massacri di civili che si sovrappongono a quelle dei briefing
dei colonnelli israliani, con rinfresco offerto per i giornalisti prezzolati. Tramite queste conferenze stampa stanno dichiarando al mondo che gli obbiettivi delle bombe sono solo terroristi di Hamas, e non quei bambini orrendamente mutilati che tiriamo fuori ogni giorno dalle macerie. A Zetun, una decina di chilometri da Jabalia, un edificio bombardato è crollato sopra una famiglia, una decina le vittime, le ambulanze hanno atteso diverse ore prima di poter correre sul posto, i militari continuano a spararci a contro. Sparano alle ambulanze, bombardano gli ospedali. Pochi giorni fa collegato durante un microfono aperto di una nota emittente radiofonica milanese, una "pacifista" israeliana mi avevo detto a chiare lettere che questa è una guerra dove le due parti contrapposte utilizzano tutte le loro armi a disposizione. Invito allora Israele a sganciarci addosso una delle sue tante bombe atomiche che tiene segretamente stivate contro tutti i trattati di non proliferazione nucleare. Ci tiri addosso la bomba risolutiva terminino l'inumana agonia di migliaia di corpi maciullati in agonia nelle corsie sovraffollate degli ospedali che ho visitato. Ho scattato alcune fotografie in bianco e nero ieri, alle carovane di carretti trascinati dai muli, carichi all'inverosimile di bambini sventolanti un drappo bianco rivolto verso il cielo, i volti pallidi, terrorizzati. Riguardano oggi quegli scatti di profughi in fuga, mi sono corsi i brividi lungo la schiena. Se potessero essere sovrapposte a quelle fotografie che testimoniano la Nakba del 1948, la catastrofe palestinese, coinciderebbero perfettamente. Nel vile immobilismo di Stati e governi che si definiscono democratici, c'è una nuova catastrofe in corso da queste parti, una nuova Nakba, una nuova pulizia etnica che sta colpendo la popolazione palestinese.Fino a qualche istante si contava 650 morti, 153 bambini uccisi, più di 3000 i feriti, decine e decine i dispersi. Il computo delle morti civili in Israele, fortunatamente, rimane fermo a quota 4. Dopo questo pomeriggio il bilancio sul versante palestinese va drammaticamente aggiornato, l'esercito israeliano a iniziato a bombardare le scuole delle Nazioni Unite. Le stesse che stavano raccogliendo i migliaia di sfollati evacuati dietro minaccia di un imminente attacco. Li hanno scacciati dai campi profughi, dai villaggi, solo per raccoglierli tutti in posto unico, un bersaglio più comodo. Sono tre le scuole bombardate oggi, l'ultima, quella di Al Fakhura, a Jabilia, è stata centrata in pieno. Più di 50 morti. In pochi istanti se ne sono andati uomini, anziani, donne, bambini che si credevano al sicuro dietro le mura dipinte in blu con i loghi dell'ONU. Le altre 20 scuole delle Nazioni Unite tremano. Non c'è via di scampo nella Striscia di Gaza, non siamo in Libano, dove i civili dei villaggi del Sud sotto le bombe israeliane evacuarono al nord, o in Siria e in Giordania. La Striscia di Gaza da enorme prigione a cielo aperto, si è tramutata in una trappola mortale. Ci si guarda sconvolti e ci si chiede se il consiglio di sicurezza dell' Onu riuscirà questa volta a pronunciare un'unanime condanna, dopo che anche le sue scuole sono prese di mira. Qualcuno fuori di qui ha deciso davvero di fare un deserto, e poi chiamarlo pace. Ci aspetta una lunga nottata sulle ambulanze, anche se l'alba da queste parti è ormai una chimera. I ripetitori dei cellulari lungo tutta la Striscia sono stati distrutti, abbiamo rinunciato a contarci. Spero di riuscire a rivedere un giorno tutti gli amici che non posso più contattare, ma non mi illudo. Qui a Gaza siamo tutti bersagli ambulanti, nessuno escluso. Mi ha appena contattato il consolato Italiano, dicono che domani evacueranno l'ultima nostra concittadina. Una anziana suorina che da ventanni anni abitava nei pressi della chiesa cattolica di Gaza,ormai adottata dai palestinesi della Striscia. I console mi ha gentilmente pregato di cogliere quest'ultima opportunità, aggregarmi alla suora e scampare da questo inferno. L'ho ringraziato per la sua offerta, da qui non mi muovo, non ce la faccio. Per i lutti che abbiamo vissuto, prima ancora di italiani, spagnoli, inglesi, australiani, in questo momento siamo tutti palestinesi. Se solo per un minuto al giorno lo fossimo tutti, come molti siamo stati ebrei durante l'olocausto, credo che tutto questo massacro ci verrebbe risparmiato.
Restiamo umani.
Vik