domenica 13 febbraio 2011

SE NON ORA QUANDO !


COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

PRINCIPI FONDAMENTALI

Art. 1.

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.



Art. 2.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.



Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Art. 4.

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.



Art. 5.

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.


Art. 6.

La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

Art. 7.

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.



I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.



Art. 8.

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.



I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.



Art. 9.

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.



Art. 10.

L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.



Art. 11.

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.



Art. 12

La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.


......
Art. 54.



Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.



giovedì 10 febbraio 2011

CHI SIAMO NOI PER GIUDICARLO

Porto all'attenzione questo articolo di Stefano Cappellini perchè,  tra le altre cose, ben chiarisce la posizione di chi "non ama dispensare giudizi morali e non andrà in piazza; non nutre riserve intellettuali sul sesso libero, compreso quello di Berlsuconi, e che però vorrebbe rimanere alla sostanza dei fatti che lo riguardano...

dal Riformista del 10 febbraio 2011

Chi siamo noi  per giudicarlo



di Stefano Cappellini

Silvio Berlusconi è innocente fino a prova contraria. Silvio Berlusconi ha diritto a non essere processato pubblicamente da tribunali della morale, siano essi mediatici o politici. Detto questo...



Silvio Berlusconi è innocente fino a prova contraria. Silvio Berlusconi ha diritto a non essere processato pubblicamente da tribunali della morale, siano essi mediatici o politici. Detto questo, tra una disputa e l’altra sull’azionismo, su Montesquieu e i poteri dello Stato, sui lasciti del femminismo, si può dire che Silvio Berlusconi avrebbe già dovuto da tempo dimettersi dalla presidenza del Consiglio? Un primo ministro non può telefonare in Questura e sollecitare trattamenti di favore a persone, incidentalmente minorenni, che hanno allietato le sue serate. Non può organizzare festini arruolando decine di escort perché espone al ricatto e al rischio se stesso e la carica che ricopre. Non può selezionare le candidature nelle liste del suo partito sulla base delle frequenze al bunga bunga. Si potrebbe continuare.

Davanti a questo catalogo, che sarebbe costato il pensionamento a qualunque altro capo di governo europeo, i difensori del Cavaliere hanno percorso tre strade. La prima specie di difensori, i negazionisti, hanno appunto negato: tutte invenzioni. Le cene? Innocue ed eleganti serate. Le buste alle ragazze? Beneficenza di un uomo dal cuore d’oro. Il bunga bunga? Una vecchia barzelletta di Bisio, cosa avevate capito? Quando è apparso chiaro pure ai più ottusi difensori che questa linea non reggeva nemmeno sui titoli del Tg4, anzi di questi tempi soprattutto sui titoli del Tg4, è scesa in campo una più attrezzata categoria: gli storicisti. Loro non negano nulla, o quasi.

Con le orge con le prostitute (Silvio, dicono, ha gioia di vivere), non l’inopportunità dei suoi comportamenti rispetto alla carica («Siamo in mutande», ha scritto Giuliano Ferrara, ideologo principe della categoria), non la necessità di porgere all’opinione pubblica versioni dei fatti meno inverosimili e magari anche scuse per quanto emerso. Per gli storicisti, però, tutto va inquadrato in un piano di ventennale guerra della magistratura a Berlusconi, il quale avrà pure esagerato, ma è finito vittima dell’ennesima arbitraria e faziosa vendetta dei pm. Insomma, guai a darla vinta a Ilda Boccassini.

Ma nemmeno questa trincea, un po’ più solida della precedente, ha retto del tutto. Perché tu puoi pure sostenere (e c’è del vero) che in Italia la magistratura ha sconfinato spesso e volentieri, puoi provare a dire che la Procura di Milano, quando c’è di mezzo Berlusconi, si accanisce più del dovuto, ma poi devi fare i conti col fatto che i primi a non essere tanto convinti che gli ultimi reati contestati siano invenzioni paiono proprio i legali del premier. Se non ha mai «avuto colloqui diretti con Ruby» (così Berlusconi pochi giorni fa), se la ragazza ha solo partecipato a innocenti tavolate, perché ora il premier e i suoi legali sono furiosamente impegnati a dimostrare, a dispetto dell’evidenza, che Ruby era maggiorenne? E ancora: dicono i legali che Silvio Berlusconi era seriamente convinto che la ragazza fosse la nipote di Mubarak. E il dramma è che il Parlamento italiano ha votato la scorsa settimana un documento in cui questa tesi è messa nero su bianco. Evidentemente, quella telefonata alla Questura di Milano non era così ordinaria e giustificabile se oggi Ghedini e soci provano a fare bere al paese una verità come questa, che espone il Capo a una poco invidiabile alternativa di giudizi: o mente o è un minus habens, uno sprovveduto cui si può far credere qualunque cosa. Propendiamo per la prima ipotesi.

Ma la trincea degli storicisti anti-pm non ha retto perché questa vicenda ha smosso qualcosa di profondo nell’immaginario del paese, ed è difficile convincere e trascinare le folle spiegando che tutto l’ambaradan che tiene ostaggio il paese si riduce a un match Boccassini vs. Berlusconi. Infatti, da qualche giorno, agli storicisti si sono affiancati gli amoralisti. In molti casi si tratta delle medesime persone che si sono già prodotte nei filoni precedenti. Gli amoralisti sono quelli che, più o meno biblicamente, la buttano sul “chi siete voi giudicare?”. L’obiettivo di questa ultima specie di difensori a oltranza di Berlusconi è dimostrare che la lettura del Rubygate è irrimediabilmente guastata dalle turbe, i ritardi, i complessi, le ipocrisie della sinistra. Ci sono cattolici come Maurizio Lupi o neo-confessionali come Eugenia Roccella i quali spiegano che non ha titolo per biasimare Berlusconi chi ha aperto la via al libertinismo sessuale e che Berlusconi è, tutt’al più, il prodotto più puro del sessantottismo, della «morale liberata». Bene, ci sarebbe da dir loro a prenderli sul serio, visto che chiedete ai sessantottini di prendersi le proprie colpe, chiedete al loro “figlio” di farsi da parte: se siete convinti che il Sessantotto sia la rovina generale, combattetelo ora che ha occupato Palazzo Chigi, no? Ovviamente no.

Ma non è finita. Perché poi arrivano le femministe, o ex femministe, e gli ex comunisti in affari, che ti spiegano che se il 13 febbraio le donne scendono in piazza calpestano proprio gli ideali di un tempo, di quando eravamo libertari e garantisti, spregiudicati e intellettualmente aperti. Anche per loro, in fondo, Berlusconi è figlio del Sessantotto, ma in questo caso la cosa è ben vista: il Cavaliere a Palazzo Chigi è l’immaginazione al potere (e vagli a dare torto).

Questo incrociare di lame intellettuali e accademiche – affascinante, per carità – ha prodotto l’effetto di una cortina fumogena. Alla sbarra del dibattito mediatico non c’è più Berlusconi ma il “compagno” sciovinista, la femmina benpensante, l’azionista parruccone. E a noi, che in questa storia non abbiamo mai voluto dispensare giudizi morali, che non andremo in piazza, che non nutriamo riserve intellettuali sul sesso libero, compreso quello di Berlsuconi, e che però vorremmo rimanere alla sostanza dei fatti che lo riguardano, viene comunque da chiederci se debba poi sentirsi così reazionario quel maschio o quella femmina che mal pensa di una ragazza che si concede al ricco e potente per ricavarne un vantaggio sociale oltre che materiale. O se debbano sentirsi codine quelle donne che manifesteranno un po’ scocciate che la parlamentare, la consigliera regionale o l’eurodeputata siano tali perché, parafrasando una nota battuta, «sotto la quarta misura non è vera politica». Ma non vogliamo addentrarci su questa strada. Significherebbe dar man forte ai nuovi difensori del Cavaliere.

Solo un’ultima notazione. La sinistra ha sì una grossa colpa in questa vicenda. Non si è fatta trovare pronta all’appuntamento e continua non esserlo. Se oggi i difensori del Cavaliere possono attaccarsi alle sgrammaticature di un Saviano o ai moralismi di qualche lady sofisticata, è perché, pur con Berlusconi ridotto com’è, dall’altra parte non c’è un’alternativa credibile, che avrebbe potuto rimuoverlo con un soffio: non c’è un progetto politico definito né una coalizione né un candidato premier. E almeno in questo caso, per fortuna, nessuno si è ancora azzardato a darne la colpa al Sessantotto.

martedì 8 febbraio 2011

Il fantasma azionista

PER APPROFONDIRE:


da La Repubblica del 8/2/2010

Il fantasma azionista
Gli attacchi di Ferrara a Zagrebelsky. L'ossessione della nuova destra nei confronti dell'"azionismo torinese", quasi la torinesità fosse un'aggravante politica misteriosa, una malattia ideologicadi

di EZIO MAURO





L'UNICA cosa su cui vale la pena ragionare, nell'attacco furibondo di Giuliano Ferrara a Gustavo Zagrebelsky, dopo la manifestazione di "Libertà e Giustizia" 1 di sabato scorso a Milano, non sono gli insulti - di tipo addirittura fisico, antropologico - e nemmeno la rabbia evidente per il successo di quell'appuntamento pubblico che chiedeva le dimissioni di Berlusconi: piuttosto, è l'ossessione permanente ed ormai eterna della nuova destra nei confronti della cultura azionista, anzi dell'"azionismo torinese", come si dice da anni con sospetto e con dispetto, quasi la torinesità fosse un'aggravante politica misteriosa, una tara culturale e una malattia ideologica invece di essere semplicemente e per chi lo comprende, come ripeteva Franco Antonicelli, una "condizione condizionante".



Eppure la storia breve del Partito d'Azione è una storia di fallimenti, che nel sistema politico ha lasciato una traccia ormai indistinguibile. Gli ultimi eredi di quell'avventura, nata prima nella Resistenza e proseguita poi più nelle università e nelle professioni che nella politica, sono ormai molto vecchi, o se ne sono andati, appartati com'erano vissuti, in case piene di libri più che di potere. Ma l'idea dev'essere davvero formidabile se ha attraversato sessant'anni di storia repubblicana diventando il bersaglio dell'intolleranza di tutte le destre che il Paese ha conosciuto, vecchie e nuove, mascherate e trionfanti, intellettuali e padronali: fino ad oggi, quando si conferma come il fantasma d'elezione, fisso e ossessivo, persino di questa variante tardo-berlusconiana normalmente occupata in faccende ben più impegnative, personali ed urgenti.


È un'ossessione che ritorna, periodicamente: la stessa destra si era già segnalata nel rifiutare pochi anni fa il sigillo civico di Torino ad Alessandro Galante Garrone, uno dei pochi che non aveva mai giurato fedeltà al fascismo, come se questa fosse una colpa nell'Italia berlusconiana. Oppure nel trasformare la lettera di supplica al Duce firmata da Norberto Bobbio in gioventù in un banchetto politico, moralista, soprattutto ideologico: tentando, dopo che il filosofo rifece pubblicamente i conti della sua esistenza (proprio sul "Foglio" di Ferrara) di rovesciarne la figura nel suo contrario, annullando la testimonianza di una vita per quell'errore iniziale, in modo da poter affermare una visione del fascismo come orizzonte condiviso o almeno accettato da tutti, salvo pochi fanatici, una sorta di natura debole italiana, nulla più.


Oggi, Zagrebelsky, e si capisce benissimo perché. Quando la cultura si avvicina alla politica e la arricchisce di valori e di ideali, cerca il nesso tra politica e morale, si rivolge allo spirito pubblico, invita alla prevalenza dell'interesse comune sul particolare, scatta il vero pericolo, in un'Italia che si sta adattando al peggio per disinformazione, per convenienza o per pavidità. Quando ritorna la cifra intellettuale dell'azionismo, che è il tono della democrazia classica, e si avverte che quell'impronta culturale forte, quasi materiale, non si è dissolta con la piccola e velleitaria organizzazione nel '47, ecco l'allarme ideologico. Parte l'invettiva contro il "gramsciazionismo" torinese, considerato due volte colpevole perché troppo severo a destra, nel suo antifascismo intransigente, troppo debole a sinistra, nei suoi rapporti con il comunismo.
Anche questa destra è in qualche modo una rivelazione degli italiani agli italiani, con un patto sociale ridotto ai minimi termini e la tolleranza che diventa connivenza, purché la leadership carismatica possa contare su una vibrazione di consenso, assumendo in sé tutto il discorso pubblico, mentre il cittadino è ridotto a spettatore delegante, ma liberato dall'impaccio di regole e leggi. Un'Italia dove il peggio non è poi tanto male, dove si relativizza il fascismo, un'Italia in cui tutti sono uguali nei vizi e devono tacere perché hanno comunque qualcosa da nascondere, mentre le virtù civiche sono fuori corso e insospettiscono perché lo Stato è un estraneo se non un nemico da cui guardarsi, le istituzioni si possono abitare da alieni, guidare con il sentimento dell'abusivo. Un Paese abituato e anche divertito ad ascoltare l'elogio del malandrino, in cui l'avversario viene schernito, il suo tono di voce deriso, il suo accento additato come una macchia, il suo aspetto fisico denunciato come una colpa, o una vergogna. Mentre gli ideali sono abitualmente messi alla berlina, e la delegittimazione diventa una cifra della politica attraverso un giornalismo compiacente di partito: una delegittimazione insieme politica, morale, estetica, camuffata da goliardia quando serve, da avvertimento - nel vero senso della parola - quando è il caso. Fino al punto, come diceva già una volta Moravia, di "vantare come qualità i difetti e le manchevolezze della nazione".


Bobbio non si spiegava perché nei suoi ultimi anni avesse ricevuto più attacchi che in tutta la sua vita. Ma non era cambiato lui, era cambiata la destra. E per questa nuova destra che cresceva tra reazione di classe e crisi morale, quell'azionismo residuale e tuttavia irriducibile nella sua testimonianza nuda e antica, disarmata, rappresentava il vero ultimo ostacolo per realizzare il cambio di egemonia culturale di quest'epoca, attraverso la destrutturazione del sistema di valori civili su cui si è retta la repubblica per sessant'anni. Un sistema coerente con il patto di cultura politica che sta alla base della Costituzione, con le istituzioni che ne discendono, con quel poco di antifascismo italiano organizzato nella Resistenza che ne rappresenta la fonte di legittimazione, e rende la nostra libertà democratica almeno in parte riconquistata, e non octroyée, concessa dagli alleati.


Un obiettivo tutto politico, anzi ideologico, che doveva per forza attaccare tre punti fermi della cultura repubblicana: l'antifascismo (Vittorio Foa diceva che la Resistenza era la vera "matrice" della repubblica), il Risorgimento, nella lettura di Piero Gobetti, il "civismo", come lo chiamava Ferruccio Parri, cioè un impegno morale e politico a vincere lo scetticismo e il cinismo nazionale. È chiaro che l'azionismo era il crocevia teorico di questi tre aspetti, soprattutto la variante torinese così intrisa di gobettismo, e che tradisce la presunta neutralità liberale, anzi compie il sacrilegio di coniugare il metodo e i valori liberali con la sinistra italiana, rifiutando l'anticomunismo.


Proprio per questo, gli azionisti sono pericolosi due volte. Perché non portano in sé il peccato originale del comunismo, che contrassegna gran parte della sinistra italiana, e perché non scelgono l'anticomunismo, come dovrebbe fare ogni buon liberale. Anzi, questo liberalismo di sinistra rifiuta l'equidistanza tra fascismo e comunismo, che porta il partito del Premier e i suoi giornali addirittura a proporre la cancellazione della festa della Liberazione, come se il 25 aprile non fosse la data che celebra un accadimento nazionale concreto e storico, la fine della dittatura, ma solo una sovrastruttura simbolica a fini ideologici. Così, Bobbio denuncia come la nuova equidistanza tra antifascismo e anticomunismo finisca spesso ormai per portare ad un'altra equidistanza, "abominevole": quella tra fascismo e antifascismo.



Ce n'è abbastanza per capire. Debole e lontana, la cultura azionista è ancora il nemico ideologico, se propone un'Italia di minoranza intransigente, laica, insofferente al clericalismo cattolico e comunista, praticante della religione civile che predica una "democrazia di alto stile". Si capisce che nell'Italia di oggi, dove prevale una politica che quando trova "un Paese gobbo - come diceva Giolitti - gli confeziona un abito da gobbo", quella cultura sia considerata "miserabile". Guglielmo Giannini, d'altra parte, sull'"Uomo Qualunque" derideva gli azionisti come "visi pallidi", Togliatti chiamava Parri "quel fesso". Ottima compagnia, dunque. Soltanto, converrebbe lasciar perdere Gobetti. Perché a rileggerlo, si scoprirebbe che sembra parlare di oggi quando scrive degli "intona-rumori, della grancassa, di un codazzo di adulatori pacchiani e di servi zelanti che facciano da coro", che diano "garanzia di continuità nella mistificazione", "armati gregari" che sostituiscono "la fede assente", perché "corte e pretoriani furono sempre consolatori e custodi dei regimi improvvisati con arte e difesi contro i pretendenti"

giovedì 20 gennaio 2011

Al voto, in nome della dignità dell'Italia.

La fine dell'impero

Porto all'attenzione l'articolo di Peppino Caldarola, pubblicato su Il Riformista del 18 gennaio 2011, quale ulteriore contributo alla necessità di rispondere con chiarezza,lucidità e fermezza all'ennesimo tentativo di negare l'evidenza dei fatti, offendendo così, tra le altre cose, anche l'intelligenza di quegli italiano che non hanno ancora rinunciato a ragionare con la propria testa..

Da: IL RIFORMISTA

Qualsiasi alternativa è meglio di così


di Peppino Caldarola

Tutto è meglio di questa lenta consunzione della nostra vita civile: un altro governo, un altro leader della destra. Altrimenti decidano gli italiani




L'ultimo spettacolo è il peggiore. L’Italia meritava altro, persino il berlusconismo meritava un tramonto meno avvilente. Non è stata una dittatura, finirà come una dittatura. Non lo è stata perché c’era un’opposizione che ha vinto e sprecato la vittoria due volte, perché gli altri poteri dello Stato sono rimasti in piedi, perché il governo è stato conquistato con il voto. Finirà come una dittatura perché l’identificazione del potere con le avventure indecenti di un uomo privo di decoro sta avvolgendo in modo soffocante la vita civile del paese. Non serve retorica per descrivere la condizione in cui stiamo precipitando. Sappiamo solo che così non può più continuare.

Sarà la magistratura a stabilire se quel che vien fuori dall’inchiesta merita una sanzione penale. L’opinione pubblica non può invece rinunciare a giudicare quel che ha saputo. Giustamente il Quirinale parla di un «paese turbato» e il giornale dei vescovi, L’Avvenire, dà voce al disagio del mondo cattolico. La linea difensiva dei sostenitori del premier appare simile a quella degli ultimi cantori di un regime. C’è la chiamata a raccolta contro il nemico interno, l’appello alla disubbidienza verso altri organi dello Stato, la disinvoltura morale che veste di legittimità comportamenti che ciascuno considererebbe censurabili per un normale cittadino. Neppure loro, che dicono di difendere il premier, hanno indulgenza verso il degrado che sta emergendo. Parlano di spie, di escort, di festini come fossero il cuore della vita nazionale e chiedono agli italiani incollati davanti alla tv di testimoniare la loro solidarietà per le manie di un miliardario che ha perso il senso del limite. Un sovversivismo da parvenu anima questi facinorosi della maggioranza silenziosa.

Il dramma del Pdl, in questa ultima agonizzante versione, è l’inesistenza di uno spirito repubblicano nelle sue file. Non c’è nessuna voce che si levi a censurare l’immagine agghiacciante di un uomo malato esposto alle offese di un gruppo di escort, ai traffici in denaro dei suoi falsi amici, alla solidarietà di chi ha ancora bisogno di lui. Aveva ragione Veronica Lario, non ha amici, non ha gente che gli vuole bene. Lui chiuso nella sua torre d’avorio sogna l’impero perenne e quegli altri lo osannano spaventati dal futuro senza di lui e da quel nulla in cui ritorneranno. Quando si ascoltano i difensori d’ufficio del premier impaurisce la quantità di bugie che vengono offerte al dibattito pubblico sullo stato della democrazia nel paese pur di salvare il loro protetto-protettore. Offendono l’Italia per salvare il “vecchio porco” dallo “sputtanamento”. Anche il linguaggio che usano è in sintonia con il racconto dei verbali piuttosto che con il dramma politico in cui siamo precipitati.

Abbiamo pensato per anni di avere di fronte un avversario spigoloso, capace di far sognare milioni di italiani e ci siamo interrogati e divisi sul modo di contrastarlo fra chi privilegiava la via politica e chi sceglieva il messaggio etico-morale. Berlusconi e il berlusconismo sembravano avere una loro grandezza, qualcosa che avrebbe segnato comunque il nostro tempo. Quella che appare in queste ore è invece l’immagine di un leader concentrato sulle sue manie, circondato da gente di avventura, sostenuto da un personale politico terrorizzato dall’idea che stia suonando la campanella dell’ultimo giro. Le sue parole e quelle dei suoi sostenitori sono persino più gravi di quel che emerge dall’inchiesta milanese. C’è la rivendicazione di uno stile di vita da basso impero in una stagione in cui la grande maggioranza della popolazione sta male, e c’è l’appello a una sorta di rivolta civile contro lo Stato. L’Italia sembra precipitata indietro di secoli. Nell’anniversario del 150° dell’Unità sembra pretendere la prima scena una nuova corte borbonica che chiama alla rivolta quelli che stanno peggio e mobilita la gente di mano per rivendicare una legittimità perduta. La storia valuterà l’avventura politica di Berlusconi, ma non potrà fare a meno di prendere atto che la sua caduta assomiglia a un cinepanettone. Di Ruby e delle altre poco ci importa, così come di Lele Mora e di Emilio Fede. Non è di loro che vogliamo parlare. Il rischio che corriamo come comunità civile è quello di lasciar refluire queste acque fetide sul letto del fiume della storia nazionale. La resistenza di Berlusconi e dei berlusconiani a prendere atto che la situazione è insostenibile può travolgere il paese.

Così non si può andare avanti. È il momento di decisioni che influiranno sul nostro avvenire. Ci rivolgiamo a quel mondo di destra che ha creduto nel premier e nelle sue “riforme liberali” perché confronti le promesse con la realtà, a chi ha pensato che la vita esagerata di un leader fosse il prezzo giusto per rompere le regole della vecchia politica. Quella che vediamo è la politica più vecchia del mondo, un episodio dei tanti della storia della degenerazione di un potere che non vuole controlli e modifica in modo avvilente lo spirito pubblico. Tutto è meglio di questa lenta consunzione della nostra vita civile. Se c’è qualcuno del vecchio mondo berlusconiano che non ha ancora smarrito il senso dello Stato, è il momento che si faccia avanti. In gioco non è il tradimento di una lealtà politica ma il venir meno di un ruolo dirigente. Chi ha creduto nella destra berlusconiana può provare a proporre le proprie idee in un quadro politico depurato da questa consorteria che riesce persino difficile definire. È giusto che le opposizioni si rivolgano a quanti nel Pdl avvertono l’urgenza del momento ma è altrettanto necessario che non restino prigioniere di una risposta reticente. Le opposizioni devono trovare la forza di unirsi per reagire a questo avvilente spettacolo. Trovino l’accordo su una personalità al di sopra delle parti, di alto profilo politico e morale e chiedano il voto anticipato per mettere fine a questo scempio. Non si può più attendere. Il mito dell’invincibilità di Berlusconi è l’ultima bandiera che sarà sventolata in queste settimane. Molti leader politici temono che il precipitare della situazione verso lo scioglimento anticipato delle Camere e verso una lunga e durissima battaglia elettorale possa nuocere al paese. Preoccupazioni legittime che non tengono conto che l’unica cosa che fa davvero male all’Italia è il protrarsi di una crisi dai contorni oscuri. Se c’è un altro governo in grado di sostituire quello di Berlusconi ben venga. Se c’è un leader della destra che vuole partecipare allo sforzo di trarre l’Italia fuori da questo pantano colga il momento. Altrimenti decidano gli italiani.

martedì, 18 gennaio 2011

mercoledì 19 gennaio 2011

UN CONTRIBUTO ALLA CHIAREZZA

Porto all'attenzione l'analisi di Giuseppe D'Avanzo, pubblicata su Repubblica del 19 gennaio 2011, per la chiarezza con cui vengono raccontati i fatti, dai quali emerge una realtà che non può non essere giudicata ed eticamente condannata - al di là delle probabili implicazioni penali - e che deve costringerci tutti ad un moto di ribellione in nome non solo della dignità del nostro Paese e delle nostre Istituzioni, ma anche, e sopratutto, in nome della dignità personale di ognuno di noi, che può solo costringerci a reagire  di fronte all'ennesimo tentativo di eludere, cammuffare e distorcere la verità sino a negare l'evidenza dei fatti, tentando così, goffamente e spavaldamente, di eludere le implicazioni - ovvie, doverose e necessarie- che ne derivano.


DA REPUBBLICA:

L'affanno del sovrano e la fiaba del complotto


di :GIUSEPPE D'AVANZO

Claqueurs ripetono le solite mosse. Modificano il segno dei fatti accertati. Abitano lo stesso Palazzo lontano dal cuore del Paese. Appartengono alla stessa famiglia e sono feroci nella difesa dello status quo, ordinato intorno al Sovrano istupidito da una sexual compulsivity e dall'amore di sé, Nerone, Eliogabalo, maiestas indegna nel suo modo di essere, ridicola nelle sue fantasticherie, nei suoi gesti, nel suo corpo, grottesca nella sua sessualità.



Indifferenti alla meccanica del potere del Sovrano, maschere salmodianti organizzano quadri dove "vero/falso", "giusto/ingiusto", "corretto/improprio" sono qualifiche fluide e manipolabili. Vogliono che ogni figura logica svanisca nella nebbia e usano formule confusamente sonore, "accanimento", "deriva giustizialista", "attacco politico", addirittura "golpe". Ugole ubbidienti agitano addirittura il fantasma mentale del Complotto, fiaba degli impotenti, inganno degli irresponsabili che temono la realtà.



È comodo da ribaltare il vaniloquio. Non c'è alcuna "trappola". Nella gabbia Berlusconi s'infila da solo. Una puttana brasiliana lo avverte mentre è a Parigi in una cerimonia ufficiale: la sua Ruby è in Questura. Ruby è del Sovrano. Ha cominciato a vedersela intorno nel 2009: la fanciulla ha sedici anni. Balla la danza del ventre. Il Sovrano si diverte. Se ne incapriccia con l'anno nuovo, il 2010. Logico che si agiti quando lo allertano da Milano. Ruby è minorenne, è

nelle mani dei poliziotti, ha la lingua lunga, può rovinarlo. Solo in apparenza è irragionevole che sia egli stesso - presidente del Consiglio - a metterci riparo. Deve farlo per evitare che altri conoscano il segreto della sua relazione. Chiama il capo di gabinetto della Questura di Milano intorno alle 23.45 del 27 maggio. Già quest'intromissione avrebbe dovuto segnare la fine politica di un homme d'Etat. È un dettaglio che le ugole del Sovrano ignorano nel frastuono che organizzano. È un particolare decisivo, al contrario. Questa telefonata è l'incipit della storia e l'iniziativa che configura il reato di concussione. Lo si rintraccia quando un pubblico ufficiale (Berlusconi lo è) abusa della sua qualità o dei suoi poteri per indurre altri a un comportamento indebito. In questura da quell'ora della notte si scatena un inferno sul capo della funzionaria di servizio (Giorgia Iafrate). Riceve in 134 minuti (dalle 23.59.27 alle 02.14.12) quindici telefonate dai suoi superiori (12 dal capo di gabinetto, 3 dal dirigente dell'ufficio prevenzione, il suo capo): una telefonata ogni nove minuti. Quest'esorbitante pressione produce un frutto avvelenato. Un soggetto debole, una minorenne senza famiglia, senza fissa dimora, senza reddito che abitualmente si prostituisce, è sottratta alla tutela dello Stato con l'intervento abusivo del capo del governo che impone un comportamento scorretto ai funzionari della Questura. Alle 2.00 Ruby viene affidata a Nicole Minetti, incaricata del capo del governo, e da questa di nuovo consegnata a una prostituta brasiliana nonostante le indicazioni vincolanti del pubblico ministero. Soltanto dopo, alle 2.20.43, Giorgia Iafrate chiede di accertare la volontà della famiglia di Ruby e soltanto alle 04.00 i poliziotti incontrano i genitori della ragazza, che quindi non saranno mai interpellati, contrariamente a quanto viene riferito al pubblico ministero (è un obbligo ineludibile, hanno la patria potestà).



Nel mondo di cartapesta dell'Italia berlusconiana, maschere salmodianti ripetono "dove sono le prove?"; qualche sempliciotto ne è influenzato mentre le anime fioche dell'informazione afferrano quella domanda come un naufrago il legno (non sia mai che debbano prendere posizione e contraddire il potere). La prova della concussione di Berlusconi è evidente, salda, indistruttibile. Chiunque può vederlo. Accorti, non lo contestano gli avvocati del premier. Si tengono lontano dai fatti. Discutono di forme: era competente la procura di Milano? Rispondono di no, l'inchiesta è quindi illegittima. Istigano alla rivolta le teste di turco che straripano nei talk-show dove sfogano l'angoscia (è davvero al capolinea il Sovrano?) menando fendenti forsennati. Ignorano una regoletta: la giurisprudenza sostiene che il pubblico ufficiale (membro del governo) colpevole di concussione deve essere giudicato dal Tribunale dei ministri se la concussione è funzionale (lo sarebbe stata se in Questura avesse telefonato il ministro dell'Interno). Al contrario, se il pubblico ufficiale abusa non dei suoi poteri, ma della qualità del suo incarico (come nel nostro caso, Berlusconi) niente tribunale dei ministri.



La concussione è un delitto molto grave (12 anni il massimo della pena). Lo è soprattutto se, come in quest'affaire, si mostra aggravato da alcune circostanze. Berlusconi manipola la volontà e le condotte dei funzionari della questura per occultare un altro reato, il favoreggiamento della prostituzione minorile, e nascondere il "puttanaio" sotto il tetto di Arcore, "suscettibile di arrecare nocumento alla sua immagine di uomo pubblico".

Anche qui per affogare nell'oblio quel che è accaduto, gli avvocati si avventurano in un'acrobazia. Dicono: ammesso e naturalmente non concesso, che il favoreggiamento alla prostituzione minorile ci sia stato, è stato commesso ad Arcore, Monza. Quindi, competente non è Milano. È una mastodontica grinza, tanto più sorprendente perché i due avvocati del premier sono parlamentari. Stupisce che non ricordino come sia stato proprio questo governo, la loro maggioranza, a reintrodurre la competenza dei reati di violenza sessuale per le procure distrettuali. Quindi, nel nostro caso, a Milano.



Prima che la memoria deperisca e i fatti siano travolti dal rumore, conviene ordinare quali sono "le prove evidenti" dello sfruttamento della prostituzione minorile. Per venirne a capo, è necessario dimostrare: (1) che Ruby si prostituisse; (2) che Berlusconi, consapevole della minore età di Ruby, ha compiuto con la ragazza "atti sessuali" (3) ricompensandola. Dicono: dove sono le prove? La domanda è una corvée d'ossequio. Se si sanno leggere le 389 dell'invito a comparire, le prove si scovano. Un rosario di testimonianze dirette e documenti acustici confermano il "mestiere" di Ruby. La ragazza vende il suo corpo occasionalmente, quando ha bisogno di denaro o quando qualche agiato semplicione le capita a tiro. Succede anche con Berlusconi. Ruby è introdotta alla corte del Sovrano lungo i canali predisposti per accontentarne la sexual compulsivity. Emilio Fede (mente a gola piena e, in prima battuta, dice di non conoscerla, poi di non ricordarla) la scopre tredicenne a Messina. La indirizza al suo braccio destro nella "fabbrica del bunga bunga", Lele Mora. Il prosseneta la istruisce, la prepara e l'avvia al suo lavoro autentico mascherato in modo maldestro dall'impegno di cubista buono per pagare appena le spese di un paio di giorni al mese. Quando finalmente è pronta viene offerta al Drago. Ruby ha sedici anni. Un carabiniere che l'ha conosciuta in quel periodo riferisce che, è vero, prima del gennaio 2010 - dunque nel 2009 - Ruby era già stata a Villa San Martino due volte. Con il nuovo anno, la relazione con il presidente si fa più intensa. Dal 14 febbraio al 2 maggio 2010 Silvio Berlusconi e la teenager si vedono tredici volte. 14 (domenica), 20 (sabato), 21 (domenica), 27 (sabato), 28 (domenica) febbraio 2010; 09 (martedì) marzo 2010; 04 (domenica, Pasqua), 05 (lunedì dell'Angelo), 24 (sabato), 25 (domenica Festa della Liberazione), 26 (lunedì) aprile 2010; 01 (sabato, Festa del lavoro), 02 (domenica) maggio 2010. In settantasette giorni (dopo il fermo in questura del 27 maggio, sarà impossibile) il presidente pretende che la minorenne dorma sotto il tetto di Villa San Martino con una frequenza di una volta ogni sei giorni. È una prova solida della loro frequentazione. Bisogna ora dimostrare che ci siano stati "atti sessuali" tra il presidente e la ragazza. I caudatari chiedono come prova una fotografia, un video. Non è necessario.



È colpevole di favoreggiamento della prostituzione minorile "chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica". Gli atti sessuali possono anche non essere, nel caso dei minori, sesso tout court. Per giurisprudenza costante della Cassazione, è configurabile come "atto sessuale" anche una "palpazione concupiscente". Ecco allora perché in una sequenza logica ci si deve occupare delle malinconiche serate del Sovrano, di quei "bunga bunga" dove, secondo decine di testimonianze, "le ragazze si spogliano, si avvicinano al presidente disteso sul divanetto e a turno, o anche in gruppi di due o tre, si strusciano e si fanno toccare, assumendo un atteggiamento anche provocante e volgare con baci e strusciamenti". Le maledizioni dei corifei del Sovrano non riusciranno a cancellare quel che si vede. Ruby partecipa al sollazzo del premier. Quanto meno - e per la legge non occorre pretendere altro - subisce gli "strusciamenti" di quel signore di 76 anni, le sue "palpazioni concupiscenti". Sono "atti sessuali", Ruby è minorenne. Si comprende perché la procura di Milano creda di aver raccolto fonti di prova sufficienti per chiedere il giudizio immediato e chiudere presto questa triste vicenda. Appare addirittura un sovrappiù documentare il tentativo corruttivo di Berlusconi. Vuole chiudere la bocca alla ragazza. È in affanno e le promette di rivestirla d'oro. Ancora una volta è costretto a muoversi in prima persona e al telefono della ragazza arrivano nei mesi scorsi più o meno un centinaio di telefonate del presidente.



In qualsiasi altro Paese che abbia rispetto di se stesso e delle sue istituzioni, Berlusconi si sarebbe già dimesso. Se questo non avviene, non lo si deve alla tignosa "invincibilità" del grottesco Sovrano che ci governa, ma a una classe dirigente incapace di assumersi responsabilità civili, indifferente a un senso comune dell'appartenenza e all'onore. Lo si deve a una Nazione senza amor proprio. Le tracce di questa triste condizione, si scorgono nei co-protagonisti di quest'affare o nell'assenza di alcune corpi collettivi. È un bestiario dalle mille figure. Un ministro della Repubblica, Ignazio La Russa, apprende che Berlusconi si è inventato "una fidanzata" per uscire dall'angolo. Si precipita dinanzi alle telecamere di un telegiornale per giurare, senza arrossire, che "lui, lo sapeva da tempo". Un avvocato di grande reputazione a Milano, Massimo Di Noia, difende Ruby. Ruby è la parte lesa di un reato sessuale e appare assolutamente irrituale e anomalo (anche se non esplicitamente vietato) che egli si sia prestato a interrogare la sua assistita per conto dell'indagato. E bisogna escludere - perché vietato - che egli abbia richiesto per le investigazioni difensive dell'avvocato di Berlusconi "notizie sulle domande formulate o sulle risposte date" da Ruby ai pubblici ministeri che l'hanno interrogata.



Mostra l'esprit de société la quiete stagnante delle redazioni del Tg1 e del Tg4. Sono governate non da giornalisti, ma da reggicoda del Sovrano. Augusto Minzolini riscrive ogni sera la realtà del Paese governato dal Drago lisciandola da ogni increspatura, conflitto, notizia e accecando l'opinione pubblica. L'altro addirittura spande il denaro del suo giornale per far rientrare in tutta fretta dal Brasile due prostitute da accompagnare dal premier. Che cosa deve accadere perché le redazioni dei due giornali facciano sentire la loro voce, alzino la protesta per difendere il loro onore. Dove sono i sindacati di polizia? Perché non difendono quei funzionari di Milano, umiliati e vinti dall'arroganza del capo di governo. Perché tace la Chiesa? Perché è senza voce il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Mariano Crociata. Che già ebbe modo di dire (menava scandalo l'amicizia del Sovrano con la minorenne Noemi): "Assistiamo ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria. Nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio". Esiste ancora un'Italia che abbia amor proprio?

(19 gennaio 2011)