giovedì 10 febbraio 2011

CHI SIAMO NOI PER GIUDICARLO

Porto all'attenzione questo articolo di Stefano Cappellini perchè,  tra le altre cose, ben chiarisce la posizione di chi "non ama dispensare giudizi morali e non andrà in piazza; non nutre riserve intellettuali sul sesso libero, compreso quello di Berlsuconi, e che però vorrebbe rimanere alla sostanza dei fatti che lo riguardano...

dal Riformista del 10 febbraio 2011

Chi siamo noi  per giudicarlo



di Stefano Cappellini

Silvio Berlusconi è innocente fino a prova contraria. Silvio Berlusconi ha diritto a non essere processato pubblicamente da tribunali della morale, siano essi mediatici o politici. Detto questo...



Silvio Berlusconi è innocente fino a prova contraria. Silvio Berlusconi ha diritto a non essere processato pubblicamente da tribunali della morale, siano essi mediatici o politici. Detto questo, tra una disputa e l’altra sull’azionismo, su Montesquieu e i poteri dello Stato, sui lasciti del femminismo, si può dire che Silvio Berlusconi avrebbe già dovuto da tempo dimettersi dalla presidenza del Consiglio? Un primo ministro non può telefonare in Questura e sollecitare trattamenti di favore a persone, incidentalmente minorenni, che hanno allietato le sue serate. Non può organizzare festini arruolando decine di escort perché espone al ricatto e al rischio se stesso e la carica che ricopre. Non può selezionare le candidature nelle liste del suo partito sulla base delle frequenze al bunga bunga. Si potrebbe continuare.

Davanti a questo catalogo, che sarebbe costato il pensionamento a qualunque altro capo di governo europeo, i difensori del Cavaliere hanno percorso tre strade. La prima specie di difensori, i negazionisti, hanno appunto negato: tutte invenzioni. Le cene? Innocue ed eleganti serate. Le buste alle ragazze? Beneficenza di un uomo dal cuore d’oro. Il bunga bunga? Una vecchia barzelletta di Bisio, cosa avevate capito? Quando è apparso chiaro pure ai più ottusi difensori che questa linea non reggeva nemmeno sui titoli del Tg4, anzi di questi tempi soprattutto sui titoli del Tg4, è scesa in campo una più attrezzata categoria: gli storicisti. Loro non negano nulla, o quasi.

Con le orge con le prostitute (Silvio, dicono, ha gioia di vivere), non l’inopportunità dei suoi comportamenti rispetto alla carica («Siamo in mutande», ha scritto Giuliano Ferrara, ideologo principe della categoria), non la necessità di porgere all’opinione pubblica versioni dei fatti meno inverosimili e magari anche scuse per quanto emerso. Per gli storicisti, però, tutto va inquadrato in un piano di ventennale guerra della magistratura a Berlusconi, il quale avrà pure esagerato, ma è finito vittima dell’ennesima arbitraria e faziosa vendetta dei pm. Insomma, guai a darla vinta a Ilda Boccassini.

Ma nemmeno questa trincea, un po’ più solida della precedente, ha retto del tutto. Perché tu puoi pure sostenere (e c’è del vero) che in Italia la magistratura ha sconfinato spesso e volentieri, puoi provare a dire che la Procura di Milano, quando c’è di mezzo Berlusconi, si accanisce più del dovuto, ma poi devi fare i conti col fatto che i primi a non essere tanto convinti che gli ultimi reati contestati siano invenzioni paiono proprio i legali del premier. Se non ha mai «avuto colloqui diretti con Ruby» (così Berlusconi pochi giorni fa), se la ragazza ha solo partecipato a innocenti tavolate, perché ora il premier e i suoi legali sono furiosamente impegnati a dimostrare, a dispetto dell’evidenza, che Ruby era maggiorenne? E ancora: dicono i legali che Silvio Berlusconi era seriamente convinto che la ragazza fosse la nipote di Mubarak. E il dramma è che il Parlamento italiano ha votato la scorsa settimana un documento in cui questa tesi è messa nero su bianco. Evidentemente, quella telefonata alla Questura di Milano non era così ordinaria e giustificabile se oggi Ghedini e soci provano a fare bere al paese una verità come questa, che espone il Capo a una poco invidiabile alternativa di giudizi: o mente o è un minus habens, uno sprovveduto cui si può far credere qualunque cosa. Propendiamo per la prima ipotesi.

Ma la trincea degli storicisti anti-pm non ha retto perché questa vicenda ha smosso qualcosa di profondo nell’immaginario del paese, ed è difficile convincere e trascinare le folle spiegando che tutto l’ambaradan che tiene ostaggio il paese si riduce a un match Boccassini vs. Berlusconi. Infatti, da qualche giorno, agli storicisti si sono affiancati gli amoralisti. In molti casi si tratta delle medesime persone che si sono già prodotte nei filoni precedenti. Gli amoralisti sono quelli che, più o meno biblicamente, la buttano sul “chi siete voi giudicare?”. L’obiettivo di questa ultima specie di difensori a oltranza di Berlusconi è dimostrare che la lettura del Rubygate è irrimediabilmente guastata dalle turbe, i ritardi, i complessi, le ipocrisie della sinistra. Ci sono cattolici come Maurizio Lupi o neo-confessionali come Eugenia Roccella i quali spiegano che non ha titolo per biasimare Berlusconi chi ha aperto la via al libertinismo sessuale e che Berlusconi è, tutt’al più, il prodotto più puro del sessantottismo, della «morale liberata». Bene, ci sarebbe da dir loro a prenderli sul serio, visto che chiedete ai sessantottini di prendersi le proprie colpe, chiedete al loro “figlio” di farsi da parte: se siete convinti che il Sessantotto sia la rovina generale, combattetelo ora che ha occupato Palazzo Chigi, no? Ovviamente no.

Ma non è finita. Perché poi arrivano le femministe, o ex femministe, e gli ex comunisti in affari, che ti spiegano che se il 13 febbraio le donne scendono in piazza calpestano proprio gli ideali di un tempo, di quando eravamo libertari e garantisti, spregiudicati e intellettualmente aperti. Anche per loro, in fondo, Berlusconi è figlio del Sessantotto, ma in questo caso la cosa è ben vista: il Cavaliere a Palazzo Chigi è l’immaginazione al potere (e vagli a dare torto).

Questo incrociare di lame intellettuali e accademiche – affascinante, per carità – ha prodotto l’effetto di una cortina fumogena. Alla sbarra del dibattito mediatico non c’è più Berlusconi ma il “compagno” sciovinista, la femmina benpensante, l’azionista parruccone. E a noi, che in questa storia non abbiamo mai voluto dispensare giudizi morali, che non andremo in piazza, che non nutriamo riserve intellettuali sul sesso libero, compreso quello di Berlsuconi, e che però vorremmo rimanere alla sostanza dei fatti che lo riguardano, viene comunque da chiederci se debba poi sentirsi così reazionario quel maschio o quella femmina che mal pensa di una ragazza che si concede al ricco e potente per ricavarne un vantaggio sociale oltre che materiale. O se debbano sentirsi codine quelle donne che manifesteranno un po’ scocciate che la parlamentare, la consigliera regionale o l’eurodeputata siano tali perché, parafrasando una nota battuta, «sotto la quarta misura non è vera politica». Ma non vogliamo addentrarci su questa strada. Significherebbe dar man forte ai nuovi difensori del Cavaliere.

Solo un’ultima notazione. La sinistra ha sì una grossa colpa in questa vicenda. Non si è fatta trovare pronta all’appuntamento e continua non esserlo. Se oggi i difensori del Cavaliere possono attaccarsi alle sgrammaticature di un Saviano o ai moralismi di qualche lady sofisticata, è perché, pur con Berlusconi ridotto com’è, dall’altra parte non c’è un’alternativa credibile, che avrebbe potuto rimuoverlo con un soffio: non c’è un progetto politico definito né una coalizione né un candidato premier. E almeno in questo caso, per fortuna, nessuno si è ancora azzardato a darne la colpa al Sessantotto.

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